Quando i rifiuti diventano arte

da | Feb 18, 2024 | Eventi

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«Un mondo usa e getta, fatto di oggetti e di immagini che ci passano accanto senza lasciare alcuna traccia profonda, è troppo povero di qualità per essere davvero desiderabile» (Il giardino delle cose, AA.VV., Esposizione Internazionale della XVIII Triennale, Milano)

“Diciamo no alla plastica!” è il titolo di un ciclo di incontri promossi da Mesa Noa nell’ambito della campagna “Niente più plastica nella tua dispensa” contro gli imballaggi monouso.

A caratterizzare il primo incontro del 18 febbraio, oltre alla presentazione del libro Plastichiadi dell’attivista ambientale Carola Farci, si segnala la sezione dedicata all’uso artistico dei rifiuti, “Anche l’arte fa la sua parte”. Ne è protagonista Andrea Pala, artista oristanese, che si dichiara «raccoglitore di plastica per sensibilità ambientale e dovere civico, artista per passione acquisita».

Andrea Pala ha iniziato a utilizzare la plastica raccolta in mare nel 2019, e da allora ha realizzato un centinaio di opere. Un corpus, il suo, che assume il valore di una denuncia del disastro ambientale in atto.

Andrea Pala, Senza titolo

«L’arte testimonia il nostro presente – sottolinea Andrea Pala –, evidenzia le nostre contraddizioni. La sua funzione non è trovare soluzioni, può invece far crescere la consapevolezza sulle nostre azioni e stimolare comportamenti più responsabili nei confronti dell’ambiente.»

Un po’ di storia

L’uso artistico di oggetti prodotti industrialmente si afferma, in modi e intenzioni differenti, con le Avanguardie di inizio Novecento, dai collage di Picasso, i ready-made di Marcel Duchamp, e di Man Ray e Francis Picabia, tra gli altri, e più tardi con gli object trouvé e gli assemblage. Gli oggetti, estraniati dal loro contesto originario e dalla loro funzione, sono l’elemento di rottura rispetto a una tradizione cristallizzata e convenzionale, a cui si contrappone la libertà espressiva nelle forme e nei linguaggi delle nuove correnti artistiche.

A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, con il boom economico, l’impiego di materiali di scarto nelle produzioni artistiche assume un senso sempre più marcato di denuncia politica e sociale, con la riflessione su modelli di consumo e stili di vita. La ricerca artistica, dall’Informale all’Arte povera, il Nouveau Réalisme, la Pop Art, il New Dada, la Junk Art, la Body art, fino all’Eco-artivism, tra gli altri, si interroga sugli effetti prodotti dal consumismo e sulla sua insostenibilità, dove gli scarti assurgono a simbolo di uno stile di vita disastroso per l’ambiente. Dagli anni Novanta del Novecento in poi, si afferma una nuova sensibilità ecologica che l’arte coglie anche con l’uso dei rifiuti, in particolare di plastica – totem della modernità –, come strumento di denuncia dell’inquinamento ambientale e della crisi climatica.

Schillellé e la funzione educativa dell’arte

Un interessante esempio di opera artistica che assolve diverse funzioni, tra cui un ruolo di stimolo all’assunzione di responsabilità dei singoli cittadini di fronte alla crisi ambientale, è Schillellé, ideato dall’artista e designer Edoardo Malagigi e installato a Pula, paese costiero della Sardegna sud occidentale.

Simbolo del progetto “Oltre la raccolta differenziata” promosso nel 2009 dal Centro di Educazione Ambientale Laguna di Nora per il Comune di Pula, Schillellé rappresenta un grande muggine di 8 metri, costruito con i rifiuti raccolti nelle spiagge circostanti.

Schillellé, in mostra a Cagliari (per gentile concessione del Ceas Laguna di Nora)

L’aspetto caratterizzante l’opera è che per la sua costruzione è stata coinvolta tutta la comunità di Pula, durante un workshop durato 5 settimane, con l’obiettivo di dare forma a una riflessione collettiva sulla qualità e la sostenibilità delle azioni quotidiane di ciascuno.

Il progetto Wasteland

In maniera più netta a partire dal nostro millennio, l’arte si afferma come elemento catalizzatore di nuove visioni e nuovi modi di coesistenza tra gli esseri umani e l’ambiente.

Un’esperienza internazionale che ha visto coinvolti numerosi Paesi è il progetto Wasteland – Garbage Patch State, ideato dall’artista Maria Cristina Finucci.

È noto che nell’Oceano Pacifico si è formato un immenso accumulo di rifiuti di plastica (Garbage Patch) trasportati dalle correnti marine, che si stima possa contenere fino a 100 milioni di tonnellate di detriti.

Per richiamare l’attenzione su questo fenomeno, che mette a serio rischio l’intero ecosistema marino, l’artista ha concepito Wasteland (Terra desolata), un progetto totale composto da diverse azioni artistiche, installazioni e performance esposte in luoghi di rilievo come la sede Unesco a Parigi, alla Biennale di Venezia, a Madrid lungo la Gran Via, a Roma presso il MAXXI e i Fori imperiali.

La prima performance del progetto è stato il riconoscimento del Garbage Patch come un vero e proprio Stato. Durante l’azione artistica, Maria Cristina Finucci ha sottolineato: «Tutto il mondo deve sapere che esiste una nazione di sedici milioni di chilometri quadrati composta pezzo per pezzo da qualcosa che ognuno di noi ha abbandonato perché poco importante… bottiglie usate una sola volta e abbandonate, accendini gettati per la strada, ciabatte di gomma dimenticate sulla spiaggia, bicchieri e piatti di plastica gettati via.»

Tan Zi Xi, Plastic Ocean, 2016, Singapore Art Museum

L’arte che indaga un nuovo e diverso rapporto con l’ambiente richiama ciascuno di noi a un’assunzione di responsabilità, perché dietro ogni rifiuto che inquina e degrada il nostro Pianeta c’è una persona che lo ha abbandonato.

Diffondere una maggiore consapevolezza sull’importanza dei piccoli gesti quotidiani per contribuire a un mondo più sostenibile è anche l’essenza della campagna “Niente più plastica nella tua dispensa” promossa da Mesa Noa. Ogni singola persona che sceglie di rinunciare agli imballaggi di plastica fa la differenza per aiutare il Pianeta.


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